TERMOLI. Non poteva esserci una location migliore per presentare un libro sui trabucchi.
La piazzetta all’interno del Porto Turistico era stracolma di persone tant’è che parecchie di loro sono rimaste in piedi pur di ascoltare l’interessante presentazione di questo libro scritto a sei mani da Luigi Marino, Paola Barone e Olivia Pignatelli dell’Università degli Studi di Firenze.
In una splendida serata con la luna piena che si rifletteva nel mare antistante la piazzetta, ha aperto l’evento il presidente dell’Archeoclub, Oscar De Lena che ha presentato un breve documentario dalla nascita del primo trabucco a Termoli ad opera di Felice Marinucci verso l’anno 1870, data stimata interpretando alcuni documenti dell’epoca, fino ai trabucchi presenti registrati nell’archivio dell’anno 1935 del Comune di Termoli dove risultavano essercene sei, due a nord est e quattro a sud est.
Il racconto è proseguito poi con i trabucchi che esistevano fino a tre anni fa: quello di Celestino, quello di FeDe e quello di Larivera.
Poi avvenne quello che non doveva succedere. Era il 26 novembre 2015. Una tempesta di acqua e vento spazzò via quella che era una caratteristica di Termoli: i “Trabucchi” tanto amati e ammirati dai numerosi turisti che, quando arrivavano a Termoli, volevano visitarli in modo particolare gli olandesi e gli americani.
Quel fatidico giorno la forza del mare e del vento e una pioggia sferzante e ininterrotta, spazzò via completamente il trabucco Larivera e danneggiò in maniera irreparabile gli altri due: quello di Celestino e quello di FeDe un patrimonio storico della città cancellato completamente…
Da quel giorno Termoli è diventata più povera…le manca ora una parte della sua bellezza che attirava tanti turisti…
Terminata la presentazione da parte dell’Archeoclub la parola è passata all’architetto Luigi Marino termolese purosangue che ha parlato specificamente del contenuto del libro dove vengono riportate tutte le tecniche di costruzione e di restauro di queste antichissime macchine da pesca. Sembra siano arrivate in Italia intorno all’anno 1627 ma probabilmente in altre forme forse già esistevano.
Così spiegava l’architetto Marino:
«E’ convinzione ormai sufficientemente diffusa (sebbene ancora non del tutto praticata) che nessun intervento di restauro possa prescindere dalla conoscenza quanto più completa possibile dei materiali di cui è composta l’opera. In tutti i casi, il rischio maggiore è quello di non riconoscere sul terreno materiali e procedure costruttive e di entrare in una logica di “già visto” che è destinato a nuocere in maniera, talvolta irreversibile, sulla loro futura sopravvivenza.
La perdita progressiva di procedure costruttive tradizionali e l’abbandono di materiali locali sta causando la sistematica (e sembra inarrestabile) perdita di un patrimonio non indifferente e la scomparsa di sapienze e insostituibili abilità manuali.
La continuità degli interventi di manutenzione costituisce la più efficace possibilità di sopravvivenza di manufatti antichi, soprattutto se delicati e naturalmente vulnerabili. L’interruzione di procedure tradizionali e ben collaudate non solo crea immediati danni alle strutture ma causa anche la perdita della cultura della manutenzione. Le conseguenze si renderanno evidenti quando, intervenendo a distanza di tempo, saranno eseguiti lavori inadeguati (che in ogni caso tradiscono gli originali), quando addirittura non nocivi.
Nella storia del costruito avviene di frequente che alcuni fenomeni possano svilupparsi in maniera più o meno omogenea per periodi lunghi e tali da stabilizzarne gli sviluppi successivi. In tal modo è molto probabile che diventino, almeno in linea di massima, prevedibili e rassicuranti. Non di rado, però, si possono avere avvenimenti che creano le condizioni per cambiamenti accelerati e/o improvvisi. Questi, a loro volta, con reazioni a catena, causeranno deviazioni di direzione di uno sviluppo che fino a quel momento poteva sembrare quasi immutabile.
Un esempio di queste dinamiche è fornito dalla storia dei trabocchi, macchine leggere per la pesca costiera. Lo studio documenta un fenomeno importante perché ha segnato l’economia delle popolazioni rivierasche e ne analizza alcuni aspetti costruttivi (tipologie, scelta di materiali, lavorazione e criteri di assemblaggio dei componenti, apparecchi, procedure di manutenzione e adattamento a nuove funzioni…) solitamente meno esplorati.
Il volume raccoglie alcuni risultati di un vasta indagine condotta presso l’Università degli studi di Firenze (Dipartimento di Architettura) basata su specifiche campagne di rilievo di dettaglio e documentazioni ricavate “sul campo” anche grazie alla disponibilità di alcuni proprietari-costruttori-
Applausi e congratulazioni da parte di tutto il pubblico presente, alla chiusura della presentazione del libro, hanno gratificato i due relatori Luigi Marino e il presidente dell’Archeocub Oscar De Lena, che si sono fatti interpreti a spronare amministratori e privati affinché quanto prima si possa riavere a Termoli questo patrimonio dei “Trabucchi” che ci apparteneva da circa 150 anni e che faceva parte delle attrattive turistiche della nostra città.