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venerdì 14 Marzo 2025
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Certi Comuni continuano a regalare e chi paga è il cittadino

LARINO. Quando non si sia riusciti a saldare l’importo di una sanzione amministrativa inflitta per una “multa”, è consentito di corrispondere l’importo dovuto a rate perché così dispone il legislatore statale. Ovviamente non tutti i trasgressori possono accedere a questo servizio perché, a far tempo dalla legge n. 120/2010, può richiedere una dilazione solo chi si trovi in condizioni economiche disagiate, con un reddito familiare imponibile non superiore a 10.628,16 euro annui. In questi casi, il cittadino deve presentare la sua richiesta entro 30 giorni dalla notifica del verbale all’organo accertatore. Nei successivi 90, l’organo deciderà se concedere la rateizzazione e notificherà la risposta al richiedente.

Se l’organo non invia alcunché, la richiesta deve intendersi respinta (silenzio-diniego). In caso di accettazione, si deve fare attenzione ad eseguire con puntualità tutti i pagamenti. Se, infatti, non viene accreditato l’importo della prima rata o – successivamente – di due, si decàde dal beneficio della rateizzazione e la ‘multa’ raddoppia. Se la richiesta venisse respinta, il richiedente dovrebbe pagare l’importo originario dalla comunicazione del rigetto. Per quanto riguarda la rateizzazione, i verbali singoli, anche se riferiti a più infrazioni di importo superiore a 200,00 euro possono essere suddivisi in 12 rate, se il verbale non supera i 2.000 euro; 24 se l’importo sia tra 2.000 e 5.000 euro; 60 se il verbale superasse i 5.000. Sull’importo rateizzato vengono aggiunti gli interessi;l’importo minimo di ogni rata non può essere inferiore ad € 100,00.

Questo per le ‘multe’, ma vediamo come si comportano certi Comuni (che è meglio non nominare) di manica larga (coi soldi del cittadino), in altri casi in cui la quantità di danaro sia ben più cospicua, trattandosi magari di canoni di locazione scaduti. Logicamente si può ricorrere ad una transazione, contratto con cui le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già incominciata o ne prevengono una che possa instaurarsi. Secondo la Corte dei conti della Lombardia, “ai fini dell’ammissibilità della transazione, è necessaria l’esistenza di una controversia giuridica (e non di un semplice conflitto economico) che sussista o che possa insorgere quando si contrappongano pretese configgenti di cui non sia possibile ‘a priori’ stabilire quale sia quella giuridicamente fondata”.

Però, per la Corte suprema di Cassazione, “affinché una transazione sia validamente conclusa è necessario, da un lato, che essa abbia ad oggetto una ‘res dubia’ (e cioè che cada su un rapporto giuridico avente, almeno nell’opinione delle parti, carattere di incertezza) e, dall’altro che, nell’intento di far cessare la situazione di dubbio venutasi a creare tra loro, i contraenti si facciano delle concessioni reciproche”. Più chiari di così si muore. Ma quando, dal provvedimento amministrativo di un Comune, non venga fuori – in motivazione – che sia in corso una controversia giuridica, ciò vuol dire che la deliberazione è accomodante e che fa acqua da tutte le parti, dando l’impressione che non si abbia l’intenzione di difendere l’Ente che si rappresenta (quanto piuttosto la controparte). Infine, se, nel caso di una ‘multa’, occorre accertare che il debitore si trovi in condizioni economiche disagiate, ovvero con un reddito familiare imponibile non superiore a 10.628,16 euro annui, a maggior ragione nel caso di chi debba qualcosa come – che so – 12mila euro, relativi a canoni per annualità risalenti magari a 5 anni or sono, si dovrebbe procedere con i piedi di piombo, certificando, previamente ed adeguatamente la sua situazione economica, senza nascondersi dietro considerazioni generiche di questo tipo; “Negli ultimi anni, a livello generale, l’economia ha subito una pesante stagnazione che ha determinato enormi difficoltà alle attività economiche e conseguentemente ha provocato, anche a livello locale, conseguenze negative”. Ora, è pur vero che “il recupero giudiziale del credito comporterebbe comunque ulteriori spese per l’Ente, senza peraltro avere certezza per i tempi e per il pieno recupero dello stesso”, ma è vero altresì che gli Amministratori non sono privati che dispongano di beni propri.

Qui i beni sono pubblici, e l’Esecutivo di un Comune – peraltro inadempiente per l’acquiescenza dimostrata in ben 5 anni – non può uscirsene pontificando che, tra i suoi obiettivi, ha posto “la promozione del territorio e la creazione delle condizioni per lo sviluppo delle attività produttive”. Altrimenti la promozione la fa il cittadino in quanto generico destinatario delle spese. Ma non finisce qui, perché sulla torta c’è anche una ciliegina: una decurtazione del crèdito, pari al 30%, cosicché il debitore dovrebbe restituire circa 8mila euro anziché gli oltre 10mila calcolati. Immaginate voi se chiunque debba dei soldi ad un ente locale territoriale cominciasse a porre in essere la medesima pratica dilatoria.

Claudio de Luca