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venerdì 14 Marzo 2025
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La moderna interpretazione della politica: si va di qua e di là

Si potrebbe arrivare al punto di partenza prima di essere partiti? Andando nel pratico, diciamo che, dopo di essere andato a votare, mi sono accorto di avere errato nelle mie scelte. Potrò mai ritornare al momento in cui, entrato in cabina, non ancora mi ero espresso? Viaggiare nel tempo è possibile, ma solo teoricamente.

Tutto si basa sulla teoria di Einstein che, pur fra tante previsioni (da considerare solamente curiosità matematiche), ne ha partorita qualcuna che – nel prosieguo – si è dimostrata vera. Perciò chissà che un giorno non riusciremo ad incontrare un viaggiatore del tempo che abbia a raccontarci: “Avevo votato per Tizio… ma poi sono riuscito a fregarlo, ritornando indietro, togliendogli quel voto che poi ho voluto conferire ad altri”. Insomma, almeno in linea di principio, la teoria della relatività ammette la possibilità di viaggiare nel tempo e dice che il tempo scorre lentamente per chi si trovi in un campo gravitazionale più intenso. Per esempio, in pianura, il tempo, misurato dall’orologio che portiamo al polso, ‘rallenta’ rispetto a quando fossimo in montagna; e ciò per il solo fatto che siamo più vicini al centro della Terra, e la gravità è più intensa.

Nella vita quotidiana non possiamo rendercene conto perché la gravità varia di pochissimo e la differenza di tempo è una frazione infinitesima di secondo. C’è chi ipotizza che, prima o poi, l’uomo riuscirà ad utilizzare una macchina del tempo, ma le difficoltà pratiche sono, per il momento, superabili solo nei film. Però l’universo ha saputo sempre riservarci delle sorprese. Quindi dobbiamo avere pazienza e confidare che possa essere solo una questione di tempo. ‘Ergo’, lasciamo stare il buon Albert (oramai finito a fare il ‘testimonial’ televisivo di un grande supermercato) e pensiamo ad industriarci per cercare di non commettere più errori quando ci si trovi in cabina con una scheda davanti ed una matita copiativa in mano.

Oggi v’è chi ritiene (favorito o sfavorito che sia) che il «cambiamento» da giallo-verde a giallo-rosso sia stato costituzionalmente legittimo; figurarsi, poi, i transiti di fiore in fiore di questo o di quel candidato. Tanto in virtù di un indirizzo interpretativo dominante per cui le norme che conferiscono al Presidente della Repubblica i poteri di sciogliere le Camere e di nominare il cosiddetto ‘premier’ (senza alcun vincolo espresso) andrebbero letti nel senso di un obbligo costituzionale a suo carico di dare semaforo verde ad una maggioranza capace di ottenere la fiducia delle stesse Camere. Ciò pare trovare un supporto nell’articolo per cui ogni parlamentare rappresenta la nazione ed esercita la sua attività senza vincolo di mandato, rimanendo libero rispetto alla sua base elettorale.

Ne consegue che si può cambiare di Gruppo o contribuire a costituirne uno nuovo, cambiando programmi e sistemi di alleanze per dar vita a combinazioni diverse. Ne deriva ciò che (almeno da un punto vista politico) suona come una legittimazione costituzionale del trasformismo e del ribaltone partitico, conducendo ad interpretare l’art. 1, c. 1 (per cui la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione), enfatizzando la cambiale in bianco rilasciata circa l’esercizio. Sicché il popolo non sceglie chi lo governa in base ai programmi elettorali, perché a cominciare dai singoli (ed a finire coi gruppi parlamentari) tutto è possibile. Da qui due considerazione: la prima formale, secondo cui, condividendo tale indirizzo (come hanno fatto Lega, 5Stelle e Pd), non si può rimettere in discussione il mandato imperativo, come sembra invocare Di Maio a fonte di un possibile squagliamento dei suoi Gruppi parlamentari. Non lo può fare, senza contraddire allo stesso tempo il cambio del partner di maggioranza (ieri la Lega, oggi il Pd) effettuato dagli stessi 5s.

La seconda è sostanziale, ragion per cui, se la sovranità del popolo è ridotta a una scelta limitata alle sigle, senza che queste siano tenute a rispettare le stesse indicazioni programmatiche che si sono date, essa si riduce a ben poca cosa, tanto da favorire l’astensionismo, perché quanto si riduce il peso del voto, si accresce anche il disinteresse ad esercitarlo. Ed ecco perché sarà meglio lasciar stare Einstein procurando, al momento opportuno, di votar ‘bene’.

Claudio de Luca