VASTO. Il programma “Medicina Facile” di Rete 8, condotto da Paolo Castignani, ha dedicato una puntata speciale a “due medici abruzzesi che, con grande generosità ed esponendosi al rischio contagio, hanno deciso di andare al nord, in piena emergenza Coronavirus, per aiutare i loro colleghi che da settimane stanno combattendo il loro nemico invisibile”, spiega il giornalista.
Si tratta di Pasqualino Litterio, responsabile della Neurologia Stroke Unite, e Loredana Manso, dirigente medico della Chirurgia, entrambi dell’Ospedale San Pio da Pietrelcina di Vasto e che hanno prestato il loro servizio il primo presso l’Ospedale civile Covid-19 di Desenzano del Garda, l’altro presso l’Ospedale Covid-19 Martini di Torino.
Obiettivo della lunga intervista è stato quello di ripercorrere l’esperienza vissuta, partendo da cosa abbia spinto i due dottori a rispondere al bando di reclutamento della Protezione Civile, fino a raccontare la scaletta giornaliera, le fasi della vestizione e, soprattutto, la situazione che hanno visto attraverso i loro occhi.
“Ho un background di volontariato e quando accadono situazioni di questo tipo, mi sento coinvolto e non appena si è presentata l’occasione ho subito fatto richiesta. Mi sembrava importante essere utili e sono stato su circa due settimane”, racconta Litterio.
E, a seguire, anche la dottoressa spiega le ragioni della sua scelta: “Era un po’ di tempo che ascoltavo le difficoltà dei colleghi della Lombardia e poiché l’attività di sala operatoria a Vasto era sospesa, limitandoci alle urgenze, mi sentivo di dovermi mettere a disposizione. È stata mia figlia a segnalarmi il bando e all’indomani della mia conferma della volontà di partire, mi hanno subito contattata. Una partenza, quindi, improvvisa, vissuta con l’appoggio anche del mio primario Lanci”.
Un’intensa intervista che ha portato il dottore vastese ad approfondire gli aspetti più umani della sua professionalità: “L’idea del medico è quella di aiutare gli ultimi. Sono stato in Eritrea a pochi mesi dalla laurea, nel 1994 tra il Ruanda e la Repubblica Democratica del Congo in piena guerra civile e l’ultima esperienza l’ho vissuta in Ciad. In pratica sono stato 7 volte in Africa. Non ci si abitua mai all’assenza ma non sono mai partito con l’idea di non tornare ma i miei familiari hanno capito che è una cosa che mi fa stare bene”.
Un’esperienza toccante e insieme difficile. Ecco con quali parole l’hanno condivisa: “Il timore è stato più professionale e umano che dal punto di vista della malattia, anche perché ho dovuto ricominciare a studiare per far fronte alle competenze internistiche necessarie”, afferma Litterio.
E ancora: “Spero di aver dato un buon messaggio ai miei figli, che comunque sono stati contentissimi e mi hanno supportata. Ho trovato tutti molto stanchi e stressati. Non c’erano riposi, né orario. C’erano circa 200 posti letto e avevano chiesto altri medici per aprire un nuovo settore, ritagliato dalla Cardiologia, chiamato di sub intensiva per pazienti che stavano meglio. Reparti che scoppiavano e non si sapeva nemmeno come gestire quei pazienti ormai negativi”, spiega la dottoressa.
Tanti anche i dettagli sui rapporti con gli altri medici, sul vicendevole apporto di competenze e sull’organizzazione: “C’era una divisione a 3 degli spazi, Sporco (positivi), pulito (negativi senza sintomi) e area gialla (mista con pazienti con tampone negativo ma con la sintomatologia del Covid), quela più pericolosa. Nella Medicina d’urgenza venivano ricoverati pazienti con insufficienza respiratoria e che dovevano passare in assistenza intensiva con un’ossigenazione prima con la mascherina, poi col famoso casco”.
Verso la conclusione l’accenno ad una altro aspetto logistico molto difficoltoso: “Il rito della vestizione e svestizione è lungo, complesso e molto stressante.Tute, schermo in plexiglas, la mascherina e la cuffietta sotto il cappuccio, gambali e doppi guanti, occhiali. Bisognava sanificare ogni cosa, anche la penna”, spiega Manso.
“Abbiamo ricevuto tanto, più che dato, e non abbiamo mai avuto paura. Ci siamo stancati grazie all’adrenalina che ti aiuta, ma lo stress è tanto”, “il sentimento della paura aiuta anche a concentrarsi e a stare attenti. Il timore semmai era sempre quello di dover fare la cosa giusta per il bene dei pazienti e di se stessi”, concludono i medici.
“Il medico è una figura fondamentale, ma senza i trattamenti fatti grazie agli infermieri, non si può fare niente”, dicono accennando a tutte quelle figure sanitarie fondamentali.