VASTO. In questi lunghi mesi di pandemia, abbiamo parlato spesso delle difficoltà che hanno segnato in particolare i giovani (Leggi).
La privazione della libertà, l'aver dovuto rinunciare a vivere con i propri compagni l'ultimo anno di scuola, quello più duro, ma allo stesso tempo il più emozionante. Gite cancellate, compleanni saltati, Mak P 100 andato e tutto ciò che ne consegue in termini di perdita di occasioni relazionali. Per non parlare di quei ricordi che restano indelebili a vita, ma che il Covid ha inevitabilmente sottratto loro.
Ma qual è, invece, il sentire degli insegnanti?
Abbiamo girato la domanda ad alcuni decenti vastesi e oggi pubblicheremo una prima riflessione.
È Maria Guida, professoressa di Matematica del Liceo Pantini-Pudente di Vasto, a scrivere quanto segue. Buona lettura.
"Racchiudere in poche righe cosa è stata la scuola per me, in questo periodo di distanza, è davvero difficile. Perché dovrei descrivere una scuola monca, privata della sue essenza e della sua anima. È un corpo attaccato ad un respiratore che cerca di tenersi in vita. Ci sono state mattine in cui non avevo voglia di alzarmi, in cui l’idea di quel monitor e di quel tavolo della mia cucina che si alternava tra vita privata e cattedra, mi nauseava. Ma poi pensavo a Giovanni, a Gaia, a Francesca … ai tanti volti che dietro quelle minuscole 'cellette sullo schermo' mi attendevano, per farmi mettere il mio mitico rossetto rosso e iniziare con un sonoro: 'Buongiorno!' Quegli occhietti assonnati, quei capelli ancora arruffati, le magliettine dei pigiami, qualche copertina. Quanto dolore, quanti sforzi, quanta vita non vissuta, quante domande senza risposta. Sono stata lì, con loro, sempre presente, ogni mattina dietro lo schermo di un Pc a cercare di rendere normale una scuola che così …. normale non è".