VASTO. Oggi è la Giornata nazionale contro il bullismo e il cyberbullismo a scuola, indetta dal Ministero dell’Istruzione e che viene celebrata insieme al Safer Internet Day, istituito dalla Commissione europea.
Abbiamo affrontato il tema con Catia Tinari, consulente educativa, formatrice dell’Anffas nazionale e responsabile dello sportello SAI degli enti comunali per un approfondimento legato all’incrocio pericoloso tra bullismo e disabilità.
Si verificano a Vasto fenomeni di bullismo nelle scuole a danno di studenti con disabilità?
Non ci sono, che mi risulti, gravi casi di bullismo nelle scuole di Vasto contro bambini con disabilità, ma sicuramente c’è bisogno di una più attenta attività di inclusione all’interno delle aule perché anche piccoli fenomeni possono turbare i più fragili.
Come reagiscono e quali possono essere le conseguenze?
Laddove si riscontrano casi del genere la reazione è di ulteriore chiusura, diffidenza e sofferenza nel frequentare la scuola. Le vittime si sentono insicure e si approcciano con difficoltà ai loro compagni. Se non si sentono ben accetti difficilmente vogliono partecipare ai lavori di gruppo e si rifiutano di condividere anche la stanza con quelli che dovrebbero essere i loro amici. Gli insegnanti in questi casi devono attuare una serie di interventi di recupero della fiducia, dell’autostima e della stima nei confronti dei compagni, ricostruendo pian piano un clima più sereno, anche se le difficoltà non sono sempre facili e immediate da superare. Senza dimenticare che chi si rende protagonista di atti di bullismo manifesta anch’esso una richiesta di aiuto e voglia di urlare al mondo il proprio disagio. Anche loro, dunque, hanno bisogno di essere supportati e aiutati.
C’è una fascia di età maggiormente colpita e quali le differenze?
Nelle scuole elementari più che di bullismo si può parlare di segnali come l’esclusione dai giochi. Alle medie scatta una sorta di consapevolezza e di interazione con l’amico che ha delle disabilità, anche perché è un’età in cui nessuno ha ancora definito chiaramente una propria identità. Alle superiori c’è consapevolezza delle difficoltà degli altri, ma in alcuni casi emerge che spesso i ragazzi non hanno gli strumenti e le modalità di approccio radicate per gestire un compagno con disabilità. E questo significa che c’è un problema culturale perché si ha spesso anche solo paura di sbagliare o non si sa bene come gestire, appunto, quell’approccio. In alcuni casi, invece, ho notato, alla luce della mia esperienza, che se c’è una guida da parte di un educatore preparato che spiega quali possono essere gli errori da non fare e cosa invece fare allora le relazioni tra di loro migliorano.
Cosa può fare la famiglia, come può individuare i segnali del malessere e come può agire?
Il troppo silenzio o l’irrequietezza, a seconda dei casi, possono essere tra i segnali che devono mettere in allarme la famiglia. Il cambiamento del comportamento deve essere valutato anche a scuola e segnalato ad un esperto per cercare di capire cos’è che non va. Andamento scolastico e linguaggio del corpo devono essere sempre attenzionati per capire se c’è qualcosa che non va.
Negli ultimi anni con l’introduzione degli sportelli d’ascolto sono sicuramente aumentati gli strumenti per interessarsi anche al benessere emotivo degli studenti in generale. Questo è fondamentale perché i ragazzi trascorrono molto tempo a scuola ed è giusto che questa non si occupi solo di trasmettere nozioni. Grazie alla sensibilizzazione a questi temi, inoltre, i ragazzi sono diventati anche molto solidali e quando sono testimoni di atti di bullismo non restano indifferenti, ma li denunciano ai loro insegnanti. E i docenti, dal canto loro, sono anche molto più attenti e preparati a gestire le eventuali problematiche emergenti.
Resta fondamentale lo scambio di informazioni tra la scuola e la famiglia, aspetto che determina la serenità del bambino con disabilità. Se questo scambio non avviene ne possono scaturite gravi danni.