SAN SALVO. È arrivato quel periodo dell’anno in cui i coltelli si affilano: è tempo di ventricine.
Forme e sapori diversi, ma un unico risultato: tetti delle case decorati da queste prelibatezze appese, pronte per affrontare il periodo di “cura” necessario prima di essere gustate.
La storia della ventricina
Una storia che inizia già nel 1810, la ventricina è citata nella “Statistica murattiana”.
Descritta come salume bianco, preparata senza peperone in polvere e semi di finocchio.
Nella citazione viene descritta la classica ricetta: le carni più pregiate del maiale, prosciutto o pancetta, tagliate a cubetti irregolari con il classico “taglio a mano”, o anche detto “a punta di coltello”.
Nel 1811, nel Tomo I de “La Statistica del Regno di Napoli”, la ventricina viene descritta come “Ventricolo del porco ripieno di carne, condito con sale e finocchio”, diffusa nelle zone dell’Abruzzo Citra, corrispondenti all’attuale territorio di Vasto e alla provincia di Chieti.
In questi scritti si parla anche degli ambienti dedicati alla stagionatura: prevalentemente realizzati in pietra, erano freschi, con temperature non troppo elevate. Tuttavia, l’umidità rappresentava un problema per la corretta stagionatura della carne. Per risolvere questo inconveniente, si iniziò a selezionare accuratamente le carni, tagliandole in pezzi più piccoli per favorire il contatto con il sale. Fu proprio in questa fase che si introdusse il peperone tritato nella lavorazione.
È il 1880 quando avviene il passaggio dalla “ventricina bianca” alla “ventricina rossa”.
La coltivazione del peperone e del peperoncino si era infatti diffusa nei territori abruzzesi, fino a quel momento poco conosciuta.
Dalla scelta delle carni alla lavorazione, la ventricina ha sempre conservato quel sapore di abbondanza e festa che ancora oggi la rende unica.
Un legame tramandato nel tempo
La ricetta tradizionale è una storia narrata di generazione in generazione.
Oltre alla tradizione orale, sembra che esistano anche delle ricette scritte,
come dimostra il carteggio di Cristina Ranalli, emigrata a Perth nel 1959.
In una lettera scrive:
“Nell’ultima lettera mi dici che da voi è arrivato l’inverno e vuoi provare a rifare qualche ventricina. La carne che devi comprare la sai. Taglia a pezzi grandi e impasta con 30 grammi di sale, 28 grammi di peperoni tritati e un pizzico di fiore di finocchio.
Mi raccomando di impastare tre volte.
Tuo nonno Michelangelo mi ha sempre raccomandato di mettere a curare le vesciche e le mulette due giorni con bucce d’arancio tagliate fine, aglio e rosmarino. Prima di riempire le vesciche, passale in due litri di acqua con un bicchiere di aceto. Quando appendi le ventricine stai attenta a non farle seccare subito, altrimenti si spaccano…”
L’origine del nome
La teoria più diffusa fa risalire il nome della ventricina all’utilizzo del ventre del maiale come involucro per l’essiccazione della carne.
Un’altra ipotesi, anch’essa molto accreditata, lega il suo nome alla scelta della carne utilizzata, ovvero pancetta e prosciutto.
Ventricina del vastese o del teramano?
Adesso arriviamo alla domanda che tutti si pongono: qual è la ventricina più buona?
La versione vastese è la più famosa, preparata con peperone, carni magre e sottoposta a un lungo periodo di stagionatura, che può durare fino a 100 giorni.
La versione teramana, oltre alla classica preparazione, propone una variante sotto forma di ventricina spalmabile: un impasto di peperone tritato e altri aromi, pronto per essere consumato già dopo poche settimane dalla preparazione.
Come gustare la ventricina?
Con un gusto così intenso, la ventricina si abbina perfettamente a sapori altrettanto decisi.
Sulla tua tavola non possono mancare formaggi stagionati, pane rustico, olive e peperoni arrostiti.
Per completare questo mix perfetto, un bicchiere di vino rosso corposo, come il Montepulciano d’Abruzzo, farà sicuramente la differenza.
Samantha Ciancaglini