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sabato 12 Luglio 2025
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Detenuta tenta di farla finita nel carcere di Chieti, salvata in extremis

CHIETI. Un gesto estremo che avrebbe potuto trasformarsi in tragedia è stato sventato nei giorni scorsi all’interno del reparto femminile della Casa Circondariale di Chieti. Una detenuta di origine cinti ha tentato di togliersi la vita, ma è stata salvata in extremis grazie al tempestivo intervento di alcune compagne di detenzione e dell’unica agente di Polizia Penitenziaria presente in quel momento nel reparto.

La donna, una volta liberata dal cappio, è stata immediatamente soccorsa e trasportata all’ospedale di Chieti tramite un’ambulanza del 118. A diffondere la notizia è stato Mauro Nardella, componente della segreteria nazionale del CNPP-SPP, che ha colto l’occasione per denunciare ancora una volta le gravi criticità operative che interessano l’istituto teatino.

“Quanto accaduto – afferma Nardella – riporta l’attenzione su un carcere che, dopo un periodo di apparente stabilità, sta nuovamente affrontando problemi strutturali legati in particolare alla carenza di personale e al sovraffollamento”.

Secondo il sindacalista, la situazione del reparto femminile sarebbe resa ancora più complessa dalla gestione delle detenute sottoposte a regimi di grande o intensificata sorveglianza, che – si stima – interesserebbero circa il 40% delle recluse. Tali regimi impongono controlli frequenti, ogni 10-15 minuti, aumentando considerevolmente il carico di lavoro e la responsabilità per il personale.

“Il dato paradossale – sottolinea Nardella – è che in alcuni istituti maschili abruzzesi come quelli di Vasto e Sulmona si registra una presenza femminile in eccesso tra gli agenti, mentre a Chieti, dove vi è un’intera sezione femminile, le donne in servizio sono poche e spesso costrette a coprire turni da sole.”

Una gestione delle risorse umane che, secondo il CNPP-SPP, andrebbe urgentemente rivista a livello regionale e ministeriale. Nardella lancia quindi un appello affinché si intervenga tempestivamente per evitare conseguenze ben più gravi in futuro.

“Se oggi non si è contato un morto – conclude – lo si deve solo al senso di responsabilità delle detenute e, dobbiamo dirlo, anche a una certa dose di fortuna. Ma la fortuna non può essere un piano di sicurezza.”