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lunedì 6 Ottobre 2025
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“Comprendo le difficoltà della polizia penitenziaria, ma i manicomi non sono la soluzione”

VASTO. “Il manicomio non è la soluzione e il suo retaggio culturale è un problema. Ho letto con attenzione l’intervento a firma del delegato Gau. di Vasto, Giovanni Notarangelo, sulla situazione della Casa Lavoro. Comprendo la fatica degli agenti penitenziari, l’esasperazione quotidiana, il senso di impotenza che si prova di fronte a un sistema che non funziona. Ma no, la risposta non può essere la riapertura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (Opg); nemmeno come provocazione. Il manicomio non è mai stato un luogo di cura ma uno spazio di esclusione, di sospensione dei diritti, di abbandono istituzionale”.

A scriverlo è il medico vastese Alessandro Gentile, Psichiatra e Psicoterapeuta, nonché presidente nazionale dell’Associazione Italiana Residenze/Risorse Salute Mentale Direttore Csm/Spdc Termoli.

A seguito dell’ennesimo gesto pericoloso nel carcere di Vasto dove un internato ha dato fuoco al suo materasso, i rappresentanti degli agenti di polizia penitenziaria hanno lanciato un nuovo grido d’allarme ed esasperati dalla precaria situazione vissuta nel carcere di via Torre Sinello a Vasto (Leggi).

Nella sua lettere Gentile continua:

“Pensare oggi di tornare a quel modello, anche sotto altra forma, significa tradire la storia, la scienza e la dignità delle persone. Chi propone il ritorno dei manicomi non offre una soluzione, ma una resa.

Una scorciatoia pericolosa, e profondamente ingiusta. La situazione delle carceri italiane è drammatica, non a causa della “malattia mentale”, ma per l’abbandono e il sotto-finanziamento strutturale. Oggi oltre il 40% dei detenuti assume psicofarmaci, spesso in modo non accompagnato da un reale percorso terapeutico.

L’Italia investe meno di 4 euro al giorno per la salute mentale in carcere, a fronte di una media europea più che doppia. Il Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura ha più volte segnalato le gravi carenze nel rispetto dei diritti fondamentali dei detenuti.

Anche gli agenti penitenziari hanno diritto a essere assistiti e tutelati. Sono affaticati, spesso lasciati soli, e le Case Lavoro come quella di Vasto avrebbero bisogno più che mai di psicologi, educatori, mediatori culturali, personale socio-sanitario qualificato.

Ma questa fatica – che è vera, e va riconosciuta – non può diventare un alibi per il ritorno a modelli disumani. La sofferenza mentale non nasce nel vuoto: è generata da contesti poveri, privi di progettualità, dove il tempo si cristallizza e l’abbandono diventa la norma.

Non serve un’etichetta diagnostica per spiegare comportamenti estremi: spesso basta guardare il contesto. Le Rems, con tutti i loro limiti, non sono manicomi. Sono strumenti di transizione che possono funzionare solo se inseriti in una rete di Salute Mentale e Salute Mentale Penitenziaria ben strutturata. Abbiamo bisogno di una rete territoriale viva, in cui i Centri di Salute Mentale siano aperti e attivi, le comunità terapeutiche accessibili, i percorsi di reinserimento realmente percorribili attraverso borse lavoro e progetti individualizzati. Serve inoltre una collaborazione concreta con le forze dell’ordine, affinché possano supportare sul territorio l’esecuzione delle misure di sicurezza disposte dal giudice, evitando che ricadano interamente su servizi mentali già allo stremo o che restino lettera morta.

Anche le Case Lavoro potrebbero diventare luoghi di reinserimento vero se integrate in questa rete complessa, e non lasciate, come spesso accade, abbandonate a sé stesse. Dobbiamo dirlo chiaramente: resuscitare il manicomio, anche in nome della “sicurezza”, è un atto di viltà collettiva. Non serve più reclusione. Serve più salute mentale. Non più diagnosi strumentalizzate, ma più reti.

Non più paura, ma più umanità. Come cittadino, come psichiatra e come persona, rifiuto l’idea che il disagio vada rinchiuso. Pretendo invece una società che se ne faccia carico, con intelligenza, responsabilità e rispetto”.