FRESAGRANDINARIA. “Le scene orrende e brutali del tragico conflitto israelo-palestinese hanno sicuramente commosso e scosso le anime gentili, sensibili e aperte all’empatia. Io sono fra queste anime”.
A parlare è Emiliano Longhi, poeta e saggista originario di Fresagrandinaria, che, come lui stesso racconta, ha dedicato il suo più recente e appassionato componimento, “Dove va il pianto delle donne?”, al dramma che sta turbando le coscienze di tutto il mondo.
“Lo strazio – continua l’autore passando in rassegna i temi trattati – e il dolore delle donne, la sofferenza innocente e insopportabile dei bambini, la rabbia e la frustrazione degli uomini; l’impotenza del debole, l’arroganza, lo strapotere, la strafottenza e l’impunità del più forte, assistito e protetto da altri poteri.
La rappresaglia che più vite taglia, e l’odio hanno superato ogni umana immaginazione. La vittima che si converte in carnefice. Esseri umani ridotti a talpe, esseri umani privati della propria dignità, ridotti allo stato subumano. La vergogna e il silenzio complice di chi ha preferito l’ignavia all’azione.
È questo scenario, sono queste manifestazioni, scaturite dall’atavico conflitto, che hanno fatto scattare le molle delle mie viscere, con tutto il loro stridore.
La rabbia, l’indignazione, l’avvilimento, lo sgomento hanno scosso le corde mie più profonde, e fatto esplodere in me l’urgenza di scrivere questo lungo poema, sotto la forma di una tragedia greca (mi piacerebbe, un giorno, rappresentarla in teatro)”.
Una poesia suddivisa in 5 scene più quella finale e di cui vi proponiamo la lettura della prima dal titolo “L’assalto”:
Dove va il pianto delle donne?
Dove va il pianto delle madri?
Dove va il pianto delle sorelle,
Delle vedove, delle nonne?
Il tormento, gli spasmi acuti per l’attesa
Dei cari rapiti dallo spietato Terrore.
L’angoscia preme, schiaccia la certezza,
Che ondeggia tra la vita e la morte dell’ostaggio.
Dà speranza lo scambio di vite, lenisce il disagio.
Preme l’ansia; le grida della protesta sono deluse.
L’attesa del ritorno, come la vita, è in bilico; vacilla
Fra “Potere e Amore”, e, come un’altalena, oscilla.
Vivono, sventurati come talpe; nelle tane,
Abbandonati come piante prive di radici, dentro una serra;
Nei cunicoli, rinchiusi tra la vita e la morte.
Talpe umane gettate nel buio di un’incerta sorte;
Scivola, la vita, tra paure e speranze lontane.
Sono là, invisibili, negli anfratti, nascosti sotto terra.
È lunga l’attesa: pianto, angoscia, lamenti.
Talpe che cedono, talpe che resistono;
Sognare il cielo, le stelle, i volti assenti.
Fuori, alla luce del sole e della luna,
La speranza, ansia e sofferenza, procura;
Resistono i sogni, gli affetti, i tormenti.
Chi pagherà per quel dolore, per quel pianto?
Chi renderà la gioia, la serenità al cuore affranto?
“Gli Israeliti ripresero a fare ciò che è male
Agli occhi del Signore. Il Signore li consegnò
Nelle mani di Jabin, re di Canaan, che regnava
Ad Asor” (Giudici, 4,1). La storia…






