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venerdì 14 Novembre 2025
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Quando la libertà diventa uno spettacolo: il caso della famiglia di Palmoli e l’enfasi mediatica

PALMOLI. Negli ultimi giorni la vicenda della famiglia di Palmoli — madre, padre e tre figli che hanno scelto di vivere isolati, senza elettricità né acqua corrente — è diventata un caso nazionale. I protagonisti della vicenda sono Nathan Trevallion, 51 anni, origini inglesi, e Catherine Birmingham, 45, nata in Australia. Hanno una bimba di 8 anni e due gemellini, un maschio e una femmina di 6.

Tutto è partito da un episodio di intossicazione da funghi nel 2024 (Leggi), che ha attirato l’attenzione delle autorità e dei media. La loro storia è diventa così in poche ore un caso nazionale, il racconto è esploso: la loro vita “fuori dal mondo” è stata analizzata, giudicata, spettacolarizzata.

Eppure, se si guarda ai fatti, gli unici due elementi che hanno davvero il peso di una notizia sono chiari: l’intossicazione da funghi e il fatto che la situazione familiare sia finita sotto la lente del Tribunale dei minori dell’Aquila, con il rischio che i tre figli vengano affidati a una comunità (Leggi). Tutto il resto — la scelta di vivere senza comodità, l’educazione domestica, l’isolamento — è diventato materiale da talk show, argomento da dibattito morale, terreno per interpretazioni e semplificazioni.

È il segno dei tempi: non si raccontano più i fatti, si costruiscono casi. Ogni storia viene stirata fino a diventare simbolo di qualcosa, sacrificando la complessità sull’altare dell’emozione e del clamore.
Nel caso di Palmoli, la ricerca dello scoop ha superato la misura. Di famiglie di stranieri e di italiani che scelgono di vivere così ve ne sono sempre di più, segno di una modernità e di un ritmo di vita che alla lunga stanca.

Dietro questa storia c’è un interrogativo più ampio, che meriterebbe rispetto e silenzio, non rumore: fino a che punto la libertà individuale può convivere con una società che tende a considerare anomalo tutto ciò che non rientra nei suoi schemi?
Invece di aprire un dibattito serio, si è preferito come sempre l’enfasi emotiva, l’etichetta pronta all’uso.

La verità è che le persone libere spaventano. Non puoi controllarle, non puoi incasellarle, non puoi farne un modello da imitare o condannare del tutto.
E allora il sistema — mediatico e istituzionale — si difende: trasforma la libertà in un “caso”, la diversità in un allarme, l’autonomia in un pericolo.

Forse la domanda più onesta non è se questa famiglia abbia sbagliato, ma perché ci spaventa così tanto chi sceglie di vivere diversamente.
Finché continueremo a trasformare ogni scelta non convenzionale in uno spettacolo mediatico, la vera notizia non sarà più la realtà, ma il nostro bisogno di raccontarla come se fosse un film.

Federico Cosenza