VASTO. Ogni anno, puntuale come le mareggiate che la precedono, sulla spiaggia di Punta Penna si ripresenta la stessa scena: tronchi, rami e detriti naturali ammassati sull’arenile, spinti lì dalla forza del mare. E, altrettanto puntuali, arrivano le lamentele di turisti e residenti, che si aspettano – già a giugno – una spiaggia pulita, ordinata, pronta ad accoglierli.
Ma Punta Penna non è una spiaggia qualunque. È parte integrante della riserva naturale di Punta Aderci, uno dei tratti costieri più incontaminati dell’Adriatico, protetto da normative stringenti che mirano a conservare l’ecosistema in tutta la sua fragilità. E qui sta il cuore della questione: la pulizia dell’arenile, almeno fino al primo luglio, non può essere affidata ai mezzi meccanici.
La normativa, infatti, parla chiaro: dal 1° marzo al 30 giugno è vietato ogni intervento invasivo, per non compromettere habitat delicati, in particolare durante il periodo di nidificazione di alcune specie protette. L’unica forma di intervento consentita è la raccolta manuale, operazione faticosa, lenta, spesso lasciata al buon cuore dei volontari o a interventi minimi da parte degli enti locali.
Il risultato? Spiaggia bellissima, ma selvaggia. Un’immagine lontana da quella che molti vacanzieri si aspettano, abituati forse ad altri modelli di turismo balneare. “Sembra abbandonata”, commentano in molti. “Con quello che paghiamo per venire in vacanza qui, almeno un po’ di pulizia”, dicono altri. Una frustrazione comprensibile, soprattutto per chi sceglie giugno proprio per evitare l’affollamento dei mesi centrali.
Ma qui sorge un nodo culturale più profondo: cosa intendiamo davvero per “spiaggia pulita”? È giusto pretendere, anche in una riserva naturale, lo stesso livello di intervento di un lido attrezzato? E ancora: la presenza di legna, per quanto disordinata possa apparire, è davvero “sporco”, o è parte integrante di un ciclo naturale che merita rispetto?
Di fronte a queste domande, le istituzioni camminano su un crinale difficile. Da un lato c’è la necessità di tutelare un patrimonio ambientale di valore unico; dall’altro, il bisogno di non trasformare il turismo in una trappola retorica, dove si chiede rispetto per la natura ma ci si infastidisce appena questa non corrisponde a un ideale estetico.
Le possibili soluzioni? Una maggiore presenza di operatori ecologici dedicati alla raccolta manuale, magari coinvolgendo anche le associazioni ambientaliste locali. Ma soprattutto, servirebbe una comunicazione più chiara e diffusa: cartelli, materiale informativo, campagne di sensibilizzazione per spiegare, a chi arriva, che Punta Penna non è una spiaggia “normale”. È una spiaggia diversa. Ed è proprio per questo che è così preziosa.
Se si vuole continuare a godere di un luogo come questo, bisogna accettarne le regole. E magari, cominciare a vedere in quei tronchi portati dal mare non un ostacolo, ma un segno di vita naturale. Una testimonianza silenziosa di un ambiente che, per una volta, non è stato ancora addomesticato.