VASTO. Oggi, a Vasto, dopo più di 10 anni, si è svolta una manifestazione studentesca autogestita. Quest’ultima è stata organizzata da noi ragazzi del collettivo studentesco Fucina (@fucina_csi su instagram) al fine di verbalizzare e concretizzare l’indignazione e la profonda amarezza che sono nate dalla realtà ignominiosa del genocidio più documentato della storia: quello perpetrato da Israele ai danni della Palestina. L’adesione alla manifestazione è stata sorprendente e sentita, studenti e professori hanno partecipato, dando dimostrazione del fatto che solo l’ignavia non ha voce. Il dissenso è vivo più che mai e ora l’onda è partita. A seguire proponiamo un intervento, pronunciato oggi alla manifestazione, che è stato scritto da due membri del collettivo:
“Siete, siamo qui oggi a rinunciare al nostro diritto/dovere di istruzione. A rinunciare per un dovere che trascende la singolarità: questo dovere è l’azione concreta per una causa reale. Come sapete gli eventi dei giorni passati hanno allargato una crepa già presente da anni nel diritto internazionale, hanno destabilizzato le coscienze di tutta la comunità, hanno oltrepassato in modo quasi ironico ogni limite imposto; e noi abbiamo il diritto e il dovere di indignarci. In questo momento decine di città in Italia partecipano a questa stessa rinuncia per rivendicare questo diritto inviolabile, o che dovrebbe esserlo. Compresi i lavoratori, gli insegnanti che sono qui a rinunciare al proprio stipendio! E se in questo momento storico il popolo italiano come gran parte del mondo si sta volgendo verso la giusta direzione, è questo il momento per incoraggiare questa confluenza di pensieri. E noi agiamo per questo.
Il manifesto che abbiamo fatto circolare porta le parole di Antonio Gramsci:
“Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza”. Questo scrive sul primo numero dell’ “Ordine Nuovo” del 1919. Ed è questo l’appello che dobbiamo maggiormente considerare, maturare, interiorizzare e infine attuare. E’ strettamente necessario per non trovarci nella disastrosa convinzione che non abbiamo valore come liberi cittadini, per non rassegnarci al dilagante relativismo che ci convince che ogni cosa ha di per suo conto una giustificazione. E noi agiamo per questo.
E’ fondamentale quindi che nel creare un organismo sociale vivo formiamo in primo luogo il nostro carattere: la nostra profonda esigenza e la nostra
conseguente pretesa verso il governo diventa in questo momento la completa intransigenza. Gramsci stesso la definisce come il “non permettere che si adoperino, per il raggiungimento di un fine, mezzi non adeguati al fine o di natura diversa dal fine”. Sostiene che deve essere affiancata da una tolleranza, un dialogo, un reale confronto tra parti, per raggiungere una volontà comune, ma NON che (cito) quando si è convinti che uno è in errore egli sfugge alla discussione, al confronto, sostenendo che tutti hanno il diritto di pensare come vogliono, la situazione sia la stessa; no, qui non si può essere tolleranti. Non so se ho interpretato bene queste parole, ma forse significa che lo sproposito è inaccettabile. E noi agiamo per questo.
Spero, dunque che voi oggi abbiate ben chiaro perchè siete qui, a protestare, a dare la vostra voce. Perché non solo noi dobbiamo avere questo diritto all’istruzione, come quello alla vita.
Serve che questi principi “vibrino in ogni atto della nostra vita, in ogni momento del nostro pensiero, occorre cambiare noi stessi”. Abbiate la prontezza di sedervi a pensare e setacciare le idee. E dimostriamo che non siamo qui a perdere tempo, a non fare un cazzo, come ci accusano di fare.
Poiché ritengo che sia molto significativo, vorrei leggervi un passo selezionato dallo scritto “Odio gli indifferenti” dell’ 11 febbraio 1917:
“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano nel sacrifizio; e colui che sta alla finestra, in agguato, voglia usufruire del poco bene che l’attività di pochi procura e sfoghi la sua delusione vituperando il sacrificato, lo svenato, perché non è riuscito nel suo intento. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”
La “città futura”, così la chiama Gramsci, nasce da noi. E se Sisifo va immaginato felice, la nostra città futura va immaginata vera, tangibile e concreta. La città futura esiste ora, in questo luogo sacro che è lo spazio associato, nel quale l’io diviene noi. D’altronde, come dice Hannah Arendt, vivere è stare tra gli uomini (inter homines esse) e, una volta riconosciuti, agire, dal momento che l’azione è una prerogativa degli umani soltanto.
E noi non possiamo non agire di fronte ad affermazioni quali “La Striscia è una grande opportunità immobiliare” (Smotrich), “Non permetteremo alle persone che sostengono il terrorismo di vivere nell’agiatezza” (Ben Gvir riguardo i civili nella Flotilla), “Lasciateci finire il lavoro a Gaza” (Benjamin Netanyahu) o di fronte a realtà lampanti come quella dei 70.000 morti (probabilmente il 40% in più, secondo il The Lancet), l’80% dei quali sono civili, come quella della carestia confermata dall’IPC, quella delle sparatorie ai centri di consegna del cibo e quella delle mattanze interminabili di uomini, donne, bambini, giornalisti e medici.
Tutto ciò non può accadere mentre cambiamo il canale della televisione nell’agiatezza delle nostre poltrone comode. Queste devono prudere, farci male, dobbiamo stare scomodi. La nostra inerzia composta deve plasmarsi per divenire azione. Siamo tutti coinvolti qui, per l’altrove. “Qui e altrove”. Questo è, prima di essere lo slogan del nostro collettivo, il titolo di un film di Godard che, nel 1976 (per ricordarci ancora una volta che nulla è iniziato il 7 ottobre), parlava della Palestina e dei Fedayyin, i combattenti della resistenza palestinese contro il nemico sionista.
Godard nel film dice: “Imparare a vedere qui per ascoltare l’altrove” e poi ci ricorda che l’Altro è il nostro altrove, qui. Dunque ci si batte per la verità, per ciò che è giusto, anche se Dio non è qui, o altrove. Ci si batte facendo l’umanità il nostro Dio. Ci si batte restando umani.”




