La rinascita di Giuseppe Pio: vittima di bullismo, disegna il dolore e sogna Termoli

Fenice mer 12 maggio 2021

Termoli Nominato ambasciatore contro il bullismo e il cyberbullismo dal Moige, Giuseppe Pio D'Astolfo vive la sua vita nel segno della positività: ora disegna magliette, che dona alla Croce Rossa di Lanciano, e sogna di tornare a Termoli.

Attualità di Valentina Cocco
5min
Giuseppe Pio con mamma Paola e papà Giuseppe ©TermoliOnLine
Giuseppe Pio con mamma Paola e papà Giuseppe ©TermoliOnLine
La rinascita di Giuseppe Pio D'Astolfo e il desiderio di tornare a Termoli

TERMOLI. Un sorriso contagioso, lo sguardo che sogna il futuro e il cappellino nero che copre le cicatrici sulla testa, quasi come se si vergognasse di mostrarle ma senza sapere che, proprio quei segni, sono i più belli al mondo perché rappresentano la sua rinascita: incontro così Giuseppe Pio D’Astolfo, poco più che 18enne, dopo aver seguito per mesi le sue condizioni di salute, in seguito al coma indotto a causa di un pugno alla testa partito per futili motivi di cui TermoliOnLine ha fornito la testimonianza in esclusiva, grazie a sua sorella Sara (di cui alleghiamo una poesia alla fine del video) ed a mamma Paola che mi hanno fanno da intermediarie.

È un martedì come un altro, ma per me è un giorno di gioia perché, finalmente, incontro di persona quel ‘gigante buono’ di cui tutta Italia parla: colui che, vittima di bullismo, è rinato dalle sue ceneri come un’araba fenice e insegna ai ragazzi (è ambasciatore Moige contro il bullismo) che la libertà altrui è importante quanto la nostra. Lo vedo, bello come il sole, mentre cammina lungo il Corso di Termoli accompagnato dai suoi genitori: indossa una maglietta bianca con un disegno molto particolare di cui, solo più tardi, scoprirò il significato profondo.

Lo saluto e mi avvicino facendogli notare quanto la sua altezza incuta una certa soggezione. Di tutta risposta e senza peli sulla lingua, mi risponde: «E pensi che mi hanno comunque picchiato». È proprio in questa genuinità e sincerità che c’è l’essenza di Giuseppe, quel ragazzo umile, educato e gentile che preferisce la mediazione alla violenza, che non ha mai smesso di essere positivo anche quando la vita lo ha sbattuto a terra ed ha rischiato di non rialzarsi e che, sfortunatamente, non è ancora consapevole di quanto queste caratteristiche siano rare oggigiorno e di quanto lui valga.

Dopo i convenevoli ci sediamo, prendiamo un caffè e iniziamo a parlare per sciogliere il ghiaccio. Sua madre mi fa notare la maglietta di Giuseppe e mi annuncia, fiera, che l’ha disegnata lui sottolineando il fatto che si tratta di «un’arte che va capita». Ed è così, perché quel volto stampato sulla t-shirt è diviso in due: da un lato c’è un ragazzo normalissimo, con un sorriso in grado di illuminare il mondo, dall’altro, al centro di un contorno sbiadito, c’è una persona con una cicatrice sul volto ed un occhio chiuso. È sorridente certo, ma è  solo una maschera che serve a coprire la sua tristezza.

In quei tratti, così semplici e caotici, c’è lui: il ‘mio Giuseppe’ (per me è come un figlio, vista anche l’età che ci separa) in tutta la fragilità che ha segnato la sua giovane anima. Si sente in gabbia, in un corpo che non sente più suo e nel quale deve riabituarsi a convivere, ma non smette di lottare e mi racconta il suo coma: «Ho sentito la voce di mamma e papà ed ho capito che dovevo svegliarmi». E così è stato: ha fatto la cosa più difficile al mondo ed ha riaperto gli occhi. Solo un primo passo, rispetto a quello che lo attendeva: «Ho pianto così tanto che, ad oggi, ho finito le lacrime - mi confessa a microfoni spenti – Ho ancora tanta strada prima di tornare alla normalità, ma ce la sto mettendo tutta».

Queste parole, lo ammetto, mi hanno spiazzata: com’è possibile che un ragazzo così giovane, a cui è capitata una cosa così orrenda, non sia arrabbiato, deluso o triste? Poi ho capito che la sua forza sta nel suo sorriso e nella sua nuova filosofia di vita: «Ho capito che, se volevo farcela, dovevo guardare le cose da un’altra prospettiva ed essere positivo. E così ho fatto: qualunque cosa mi è accaduta, da allora, cerco di trarne il positivo e non mi lascio abbattere. Ho incontrato tante persone false nella mia vita, sono riuscito anche ad innamorarmi di nuovo ed oggi mi sfogo disegnando magliette».

Un’esperienza traumatica che Giuseppe condivide con gli studenti a cui insegna il rispetto dell’altrui libertà e a «pensare con la propria testa, lasciando da parte ciò che vogliono gli amici» e nel suo canale di youtube dove tiene un Vlog ed in cui ha spiegato, in pochissime parole, la sua assenza ed i suoi progetti per il futuro che, annuncia, «sarà una figata pazzesca».

La sua nuova vita ricomincia a Lanciano, città dove attualmente vive, ma Giuseppe ed i suoi genitori hanno un sogno: «Vorremmo tornare a Termoli, dove è nato Giuseppe e dove ha tanti amici – confessa mamma Paola mentre lancia un appello – Stiamo cercando una casa in affitto per tutto l’anno. Ne avevamo trovata una, ma non accettano cani e siamo punto e a capo». Una doppia speranza, la loro. Oltre al ritorno a Termoli anche la fiducia nella giustizia: «Ringrazio l’avvocato Nicodemo Gentile che sta seguendo Giuseppe e ci fa sperare che ci sia una giustizia – aggiunge mamma Paola - E la Croce Rossa di Lanciano che lo ha accolto ed ha permesso di dare spazio alla sua creatività».

Raccolta la testimonianza di Giuseppe e l’appello della madre non mi resta che salutarli: gomiti contro gomiti, ci sorridiamo (seppur nascosti dalle mascherine) e ci strappiamo una promessa. Loro mi terranno aggiornata sulle condizioni di salute di Giuseppe ed io cercherò di aiutarli a coronare il sogno di tornare a Termoli: «Sa, io ero cuoco al San Carlo – mi racconta papà Giuseppe – Ogni mattina compravo il giornale e mi avviavo lungo Corso Nazionale per andare a lavoro mentre guardavo il mare. Amo questa città e non vedo l’ora di tornarci».

Mentre li guardo andare via, tutti uniti, penso tra me e me a quanto sia straordinariamente unico e forte questo ragazzo e di come, a volte, ingigantiamo alcuni problemi o ci abbattiamo pensando di non essere forti abbastanza quando, invece, dovremmo prendere esempio da Giuseppe e sorridere. Sempre. Se mi chiedessero di descrivere Giuseppe con due parole userei resilienza e potenza: la prima descrive la sua testardaggine nell’affrontare il trauma, mentre la seconda si addice alla sua capacità di essere un esempio per tutti coloro che hanno la fortuna di ascoltarlo. Ecco: nella prossima vita vorrei essere anche io come lui. Cicatrici incluse.

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