A Cupello la lotta alla camorra di don Luigi Merola: "Il vero male è l'ignoranza"
CUPELLO. "Il vero guaio dell'Italia non è la mafia, ma l'ignoranza. Ci sono persone che comandano, ma probabilmente sono nel posto sbagliato. Ognuno, in base al ruolo che ricopre, deve fare il proprio dovere, perché se nel nostro piccolo lo facessimo tutti allora le cose migliorerebbero. A Forcella è dovuta morire una bambina per iniziare a cambiare le cose. A Caivano due bambine sono state violentate e il caso è dovuto uscire alla ribalta nazionale per far succedere qualcosa. In Italia bisogna sempre aspettare un fatto tragico per avere l'attenzione dello Stato. Questo è il nostro guaio".
Raccontati senza giri di parole, il vissuto e le storie di don Luigi Merola hanno colpito dritto al cuore il pubblico del Cupello Book Festival. Ieri la prima serata della kermesse culturale a cura dell’associazione di promozione culturale Words (Leggi). Ad aprire i lavori, nella gremita sala consiliare di palazzo di città, è stato Dario Leone, tra i fondatori del sodalizio, mentre a presentare l'ospite Silvia Tufano, artista poliedrica, nonché pedagogista con esperienza nelle piazze di spaccio di Scampia.
Don Luigi aiuta oggi tanti ragazzi, figli di pregiudicati, a costruirsi una prospettiva di vita alternativa a quella cui sarebbero altrimenti destinati. E lo fa nella sede della fondazione A Voce d' 'e Creature, che ha trovato spazio in una villa confiscata ad un boss di camorra.
"Il mio percorso è cambiato il 27 marzo 2004, quando ero prete a Forcella, luogo in cui lo Stato latita, e dove è stata uccisa per sbaglio, in uno scontro tra clan, Annalisa Durante di soli 14 anni. La sua morte mi ha fatto capire che il prete non dovevo farlo più in chiesa, ma in strada. Gesù stava in mezzo alla gente, guariva gli ammalati. Il prete è un pescatore e non può farlo comodamente nel suo porto, ma deve uscire per mare. Il cambiamento deve avvenire perché Annalisa non deve morire più", ha detto il sacerdote.
Tanti i temi toccati, dalla responsabilità civile alla scuola, dalla chiesa alle istituzioni.
"Insegnare significa lasciare un segno. Come fa un ragazzo ad avere voglia di studiare se spesso gli insegnanti non lo fanno per vera vocazione, come d'altronde accade anche tra i sacerdoti". Questa una delle tante riflessioni condivise da don Luigi, cui abbiamo rivolto alcune domande nel corso di una breve intervista.