Emissioni di gas nel Vastese: “In ritardo sulla transizione energetica”
San Salvo, Alto e Medio Vastese, Vasto “Ad oggi non ci sono norme che regolamentano in modo stringente le emissioni di metano”
VASTESE. Tappa in Abruzzo, nel Vastese, in provincia di Chieti, per la seconda edizione di “C’è puzza di gas”, la campagna promossa da Legambiente per informare e sensibilizzare sui rischi legati alle dispersioni e agli sprechi di metano. Un tema caldo visto anche quanto accaduto di recente, in località Montalfano, a Cupello (CH), con l’incendio scoppiato alla centrale di stoccaggio del gas Stogit, dove al momento si ipotizza come causa la fuoriuscita di metano da una elettrovalvola. Alla luce di ciò, Legambiente, in occasione della tappa di C’è puzza di gas ha monitorato, tra il 29 e il 31 gennaio, ben 11 gli impianti a gas abruzzesi nel quadrantenei pressi di Vasto, in provincia di Chieti: 4 impianti di regolazione e misura (REMI), 5 pozzi di stoccaggio e una stazione di valvola.
Grazie alla termocamera per la rilevazione ottica di gas “FLIR GF320” sono stati individuati in totale circa 35 punti di emissione, dei quali 5 casi di venting e circa 30 perdite, in differenti componenti delle infrastrutture (bulloni, valvole, giunture, connettori e contatori). In particolare, in un impianto REMI nei pressi di San Salvo sono state rilevate 13 perdite e 1 caso di venting (ovvero rilascio volontario in atmosfera di gas metano o per ragioni di sicurezza o perché non possono essere trattati), e un secondo impianto REMI nei pressi di Casalforzato 7 perdite e 1 caso di venting. Rispetto ai pozzi di stoccaggio, in 3 dei pozzi monitorati sono stati rilevati casi di venting. In tre dei pozzi erano in corso lavori per l'installazione di nuove fiaccole per il flaring. Degli 11 impianti monitorati 5 sono gestiti da SNAM e 6 da Stogit, società di stoccaggio gas controllata al 100% da SNAM. Il monitoraggio non ha coinvolto la centrale di stoccaggio di Fiume Treste alla luce dell’incendio scoppiato alcuni settimane fa e delle probabili attività di manutenzione che avrebbero potuto falsare i risultati.
I monitoraggi svolti in Abruzzo dall’associazione ambientalista e CATF, si aggiungono a quelli realizzati lo scorso ottobre tra Sicilia, Basilicata e Campania, che hanno individuato circa 150 perdite e rilasci documentati su 16 impianti, testimoniando come il problema riguardi l’intera filiera e non si tratti di casi isolati.
Perché in Abruzzo e nel Vastese: Legambiente con questa tappa in Abruzzo torna a ricordare anche come in questo territorio, al centro dell’insensata politica fossile del Governo Meloni, la transizione energetica fatichi a decollare perché concentrata sulle fonti inquinanti e rischiose a svantaggio delle rinnovabili. Un esempio arriva proprio dal territorio del Vastese, l’area scelta dall’associazione ambientalista per i monitoraggi, che ospita alcune delle principali infrastrutture legate alla produzione e allo stoccaggio di gas. Sulla costa e sulla terra ferma, si contano, infatti, decine di pozzi di produzione di idrocarburi ai quali si aggiunge, nei pressi di Fiume Treste, uno degli impianti di stoccaggio più grandi d’Italia, già monitorato da Clean Air Task Force nel 2021 trovando numerose emissioni. Un problema serio che, oltre a rappresentare uno spreco di una risorsa oggi al centro di tutte le strategie energetiche del Governo con tanto di accordi internazionali, si ripercuote pesantemente anche sull’ambiente e sulla sicurezza del territorio perché il metano è un gas fossile che ha un effetto climalterante fino a 86 volte più potente di quello della CO2.
“Ad oggi, risulta fondamentale contrastare il problema delle dispersioni approvando norme e regolamenti ambiziosi, sia a livello europeo che nazionale, per ridurre, fino ad azzerare, tali emissioni su cui si è espressa anche l’IPCC che inserisce nelle sue analisi la riduzione delle emissioni di metano al terzo posto per efficacia e costi dopo solare ed eolico – dichiara Katiuscia Eroe, responsabile energia Legambiente - Ad oggi mancano all’appello non solo normative adeguate che obblighino le imprese a eseguire monitoraggi frequenti e riparare tempestivamente tali perdite e anche la bozza di regolamento Ue, in fase finale di approvazione, è poco ambiziosa e condizionata dalle pressioni di compagnie petrolifere e del gas. Ma anche trasparenza sui costi effettivi che gli utenti finali sono costretti a pagare in bolletta. E l’Italia attraverso proprie normative e regolamenti può giocare un ruolo da apripista alzando l’asticella rispetto a quanto fatto in Europa, non solo per ridurre i costi in bolletta, ma anche per contrastare l’emergenza climatica che deve rimanere un faro nelle politiche del Governo.”
Dall’altro canto è fondamentale che a livello territoriale l’Abruzzo inverta la rotta puntando davvero sulle rinnovabili a partire dall’eolico nel Vastese, a terra e a mare. Non è accettabile il clima di opposizione e di ostacolo alle rinnovabili che in questo territorio viene alimentato dalle stesse amministrazioni locali, mentre il recente incidente alla centrale Stogit di Montalfano ha fatto ri-emergere dove sono i veri pericoli per quel territorio e per la sicurezza dei cittadini.
Purtroppo, ad oggi questa regione si caratterizza ancora per una massiccia presenza di infrastrutture a fonti fossili e qui si concentrano anche numerose attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi, nuovi progetti come la Centrale di Compressione di Sulmona e la dorsale Adriatica di SNAM che collegherà la Puglia all’Emilia Romagna passando per Sulmona e il ritorno alla ribalta di proposte indecenti come le perforazioni a Bomba (CH).
“L’incidente accaduto nei giorni scorsi presso l’impianto di Stogit a Cupello - dichiara Silva Tauro, presidente di Legambiente Abruzzo – porta in primo piano, oltre al tema delle dispersioni di metano, quello della sicurezza e del futuro energetico del nostro territorio che rischia di rimanere ancora incagliato sulle fonti fossili a discapito delle rinnovabili, con costi economici e sociali pagati dai nostri cittadini anche in termini di rischio e salute. Basta con questa politica miope che parla del nulla e punta il dito verso falsi nemici, come le pale eoliche nel Vastese, mentre si è seduti su una polveriera. È arrivato il momento di scegliere il futuro di questo territorio con un’energia pulita e sicura per la gente che ci vive e per le sfide globali della lotta al cambiamento climatico. Ai Sindaci di questo territorio chiediamo, così come ai candidati del futuro consiglio regionale e ai nostri parlamentari, un impegno serio in questa direzione. La strada da percorrere è quella pulita e sicura delle rinnovabili e della transizione ecologica fatta bene e velocemente, senza se e senza ma!”.
Idrocarburi in Abruzzo: Rispetto alla produzione di idrocarburi, Legambiente ricorda che l’Abruzzo ospita 12 concessioni di coltivazione, di cui 6 su mare. Da gennaio a novembre 2023, secondo gli ultimi dati disponibili, in Abruzzo, sulla terra ferma, sono stati prodotti 10,9 milioni di smc di gas fossile, mentre nella Zona B, ovvero la porzione di mare che si trova di fronte alla costa abruzzese e che comprende anche quella delle Marche sono stati prodotti 569 milioni di smc di gas fossile, che nonostante il dato parziale sono superiori a quelli del 2022, e 187.385tonnellate di olio greggio. Per il momento, rispetto ai dati nazionali la produzione di gas fossile in Abruzzo su terra non supera lo 0,4% del totale, mentre la produzione nella Zona B copre il 20% circa.
Abruzzo indietro sulle rinnovabili: in Abruzzo la transizione energetica fatica dunque a decollare. La scelta di puntare sempre di più sulle fonti fossili, denuncia Legambiente, va a discapito delle rinnovabili e sta lasciando al palo anche il primo progetto di eolico offshore denominato Medio Adriatico, proposto dalla NP FRANCAVILLA WIND Srl e composto da 54 torri eoliche - 44 da 15 MW ciascuno e 10 da 14 MW - su piattaforme galleggianti per una potenza complessiva di 800 MW e connesso ad un impianto di accumulo da 200 MW, che dovrebbe essere realizzato a largo della costa vastese nello specchio acqueo di fronte l’area industriale del Porto di Vasto.
FOCUS sul regolamento europeo: Diverse le criticità che rimangono aperte nel Regolamento europeo sulle emissioni dirette di metano in atmosfera e su cui l’Italia può giocare un ruolo importante e da apripista anche rispetto al resto dell’Unione.
La prima legata alle tempistiche. Dopo più di due anni dalla presentazione della bozza della Commissione Europea, a dicembre 2021, il Regolamento non è ancora stato approvato. Il tema delle emissioni di metano deve essere affrontato in maniera veloce, decisa e ambiziosa guardando a questa tempistica (2035-2040 l’uscita definitiva dalle fonti fossili). Invece, il Regolamento che non fissa norme sufficientemente ambiziose per tutta la filiera, prevede per le attività di misurazione e quantificazione delle emissioni sugli impianti che non sono sotto il controllo operativo di un’azienda tempi fino a 30-48 mesi, mentre per le prime ispezioni pubbliche sull’operato delle aziende quasi 2 anni, per le attività di rilevamento e riparazione perdite su alcuni impianti, come nel caso della produzione offshore o delle stazioni di valvola dai 9 ai 36 mesi in base al tipo di infrastruttura e per il censimento complessivo dei pozzi abbandonati per alcuni paesi membri fino a 6 anni, 8 per la bonifica. A questi problemi si aggiungono quelli degli standard di riduzione delle emissioni sulle importazioni che la Commissione Europea non elaborerà prima di tre anni dall'entrata in vigore del regolamento, rimandando questa decisione quindi tra il 2027 e il 2028, mentre l’implementazione sui nuovi contratti e sui rinnovi con i fornitori potrebbero arrivare dopo il 2030.
Costi per gli utenti finali. L’importanza di avere normative e standard stringenti per i fornitori dell’intera Unione Europea risiede, infatti, proprio nelle possibilità di risparmio che si ripercuoterebbero anche sui consumatori, visto che ad oggi, e il Regolamento nella versione attuale conferma che tali dispersioni sono contabilizzate delle tariffe agli utenti finali. Politica quanto mai ingiusta considerando i profitti delle imprese e le mancate manutenzioni degli stessi. Con riferimento al gas importato, si parla, infatti, di un risparmio di almeno 90 miliardi di metri cubi di gas l’anno, pari a 54 miliardi di euro per i paesi fornitori e a 1 miliardo di euro per l’Unione Europea. Nel regolamento europeo si prevede che gli interventi di controllo e interventi della rete a fonti fossili sia a costo dell’utente finale attraverso le bollette, cosa che in Italia già avviene attraverso le bollette del gas. In tutto questo, però, non si considera che tra il 40 e l’80% dei costi di riparazione avrebbero un costo netto zero per le imprese che recupererebbero gas altrimenti disperso e venduto alle utenze finali.
L’eccessivo ricorso alle eccezioni. Nonostante alcune norme ambiziose, il Regolamento è costellato da eccezioni che rischiano di vanificarne l’efficacia dello stesso rimettendo alla buona fede delle aziende la possibilità di non abusarne. Tra le eccezioni più preoccupanti quella riguardante la possibilità di ridurre la frequenza delle attività di rilevamento e riparazione perdite, anche fino a 36-60 mesi, qualora l’operatore dimostrasse che, su una determinata infrastruttura, nei precedenti 5 anni sia stata individuata una bassa percentuale di perdite con bassa intensità emissiva.
Metaneia: nel corso della tappa in Abruzzo, Legambiente ha anche ricordato che da poco è nato il primo Osservatorio italiano sulle emissioni di metano Metaneia, promosso dall’associazione ambientalista con la media partnership de La Nuova Ecologia. Tra gli obiettivi: quello di arricchire le attività di conoscenza e informazione sulle dispersioni di metano legate spesso a scarsa manutenzione, a problemi strutturali o a pratiche di venting e flaring, che rappresentano un enorme spreco di risorse, oltre che una grave minaccia per il clima.