Sprechi nella sanità: nel 2017 pesano 21,5 miliardi di euro su 113
ROMA. Nel quarto Rapporto della Fondazione Gimbe sulla Sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale si evidenzia come sprechi e inefficienze pesino per 21,5 miliardi dei 113 miliardi di spesa sanitaria pubblica del 2017, in calo rispetto ai 22,5 del 2016.
Inoltre Gimbe per ciascuna categoria di sprechi, una 'carta di identità' riporta le stime delle risorse erose: per il sovra-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci o inappropriate vanno 6,5 miliardi; in frodi e abusi vanno 4,8 miliardi; in acquisti a costi eccessivi 2,1 miliardi; e, ancora, sono assorbiti dal sotto-utilizzo di servizi e prestazioni efficaci e appropriate 3,2 miliardi; inefficienze amministrative ci costano 2,4 miliardi mentre un inadeguato coordinamento dell'assistenza sanitaria pesa per 2,6.
Comunque Gimbe sottolinea in particolare come il Servizio Sanitario Nazionale abbia problemi di riduzione delle sue risorse, con tagli per 28 miliardi in 10 anni, dal 2010 al 2019. Questi 28 miliardi venuti meno provocano ricadute anche su cure essenziali.
Ma le risorse per il Servizio Sanitario Nazionale, - rileva il Rapporto Gimbe – “oltre che ad ardite previsioni di crescita economica, sono subordinate alla stipula di una Intesa Stato-Regioni sul Patto per la Salute 2019-2021 tutta in salita, visto che la situazione economica del Paese non permette di escludere il rischio di nuovi tagli alla sanità. Il DEF 2019 mantiene il trend dei precedenti con ottimistiche previsioni sulla spesa sanitaria nel medio termine che si ridimensionano bruscamente a breve termine: il rapporto spesa sanitaria/PIL si riduce infatti dal 6,6% nel 2019-2020 al 6,5% nel 2021 e al 6,4% nel 2022, rendendo illusorio un aumento della spesa sanitaria di oltre € 7,6 miliardi nel periodo 2018- 2022 (+6,6%). A seguito di questo imponente e progressivo definanziamento, la spesa sanitaria in Italia è ormai vicina a quella dei paesi dell’Europa Orientale: la percentuale del PIL destinato
alla spesa sanitaria totale nel 2017 è di poco superiore alla media OCSE (8,9% vs 8,8%) e vede l’Italia fanalino di coda insieme a Spagna e Irlanda tra i paesi dell’Europa occidentale. Ma soprattutto, la spesa pro-capite totale è inferiore alla media OCSE ($ 3.542 vs $ 3.807), posizionando il nostro Paese in prima posizione tra i paesi più poveri dell’Europa”.
"Nel periodo 2010-2019 sono stati sottratti al Ssn 37 miliardi - precisa il presidente Gimbe, Nino Cartabellotta - e, parallelamente, l'incremento del fabbisogno sanitario nazionale è cresciuto di quasi 9 miliardi", con una differenza di 28 miliardi e "con una media annua di crescita dello 0,9%, insufficiente anche solo a pareggiare l'inflazione (+1,07%)".
Non c’è “nessuna luce in fondo al tunnel", visto che il DEF 2019 riduce il rapporto spesa sanitaria/PIL dal 6,6% nel 2019-2020 al 6,5% nel 2021 e 6,4% nel 2022, mentre l'aumento di 8,5 mld in tre anni previsto dalla Legge di Bilancio 2019 è subordinato alle “ardite previsioni di crescita”.
Questo finanziamento pubblico, "tra i più bassi in Europa, convive paradossalmente con il paniere di Livelli essenziali di Assistenza (Lea) più ampio, garantito però solo sulla carta", aggiunge Cartabellotta. I Lea sono i Livelli essenziali di assistenza, ovvero le prestazioni sanitarie che andrebbero garantite ai cittadini su tutto il territorio nazionale.
"Davanti al lento e progressivo sgretolamento della più grande opera pubblica mai costruita in Italia – afferma Cartabellotta - negli ultimi dieci anni nessun Esecutivo ha mai avuto il coraggio di mettere la sanità pubblica al centro dell'agenda politica”. Si è continuato invece a considerarla "come un mero capitolo di spesa pubblica da saccheggiare, e non una leva di sviluppo economico da sostenere”. (Fonte Regioni.it)